Federica, Concetta e Marika sono tre donne con storie diverse ma che ad un certo punto si incrociano. Si incrociano dapprima nelle celle della Casa Circondariale Femminile di Pozzuoli. E poi, grazie ad un progetto della Caritas Italiana finanziato con l’8X1000 alla Chiesa Cattolica, si ritrovano nell’Ambulatorio dei Poveri “diacono Pasquale Grottola” della Caritas Diocesana di Pozzuoli. Sono tra le beneficiarie delle borse-lavoro realizzate grazie al Progetto Nazionale Carcere che per la Diocesi di Pozzuoli prende il nome “Oltre le mura e i pregiudizi” e vede coinvolti, oltre alla Caritas, anche la Pastorale Carceraria e il Centro Educativo Regina Pacis. Le tre donne – beneficiarie di permessi speciali dopo aver scontato parte della pena – svolgono servizio di supporto alle attività sanitarie del poliambulatorio diretto dalla dottoressa Eleonora Elefante consacrata dell’Ordo Virgiunum. I nomi e l’età delle donne sono fittizi.

Federica, 41 anni, vive nell’area flegrea dopo aver vissuto alcuni anni nel nord Italia. Per lei è importante svolgere il proprio compito in questo tipo di ambulatorio perché «sono persone come me: non hanno soldi ma sono ricche dentro. Noi le aiutiamo grazie al lavoro di assistente alla poltrona oppure all’accoglienza, ma in effetti sono loro che aiutano noi. Mi sento gratificata. Anche quando ci sono delle persone che apparentemente sembrano distanti, se ti avvicini e provi a parlare, vedi che esce sempre il bello. Io mi siedo accanto a loro e parliamo dei nostri problemi ma anche di cosa cucinare. Qui poi non sono numeri come in un ospedale o in una clinica privata. Per noi sono persone e questo non ce lo dobbiamo dimenticare, perché siamo la Caritas».

Concetta è una napoletana di 50 anni. «Avevo già visto il grande lavoro della Caritas anche perché in carcere ho usufruito della Boutique Rosa, una bella realtà che aiuta tanto le detenute – dice – Ho avuto la possibilità di scegliere quello che mi serviva per la mia persona e spesso sceglievo di prendere penne e quaderni per scrivere. Scrivevo poesie ma che non ho fatto mai leggere a nessuno, perché sono fatta così, un po’ chiusa… Sono sempre stata accolta bene grazie a don Fernando e al parroco della mia comunità. Poi qui ho conosciuto don Giuseppe Cipolletta che ha inoltrato l’istanza al giudice per consentirmi di lavorare qui. Si tratta di un’esperienza positiva. Sto imparando tantissimo. Nell’ambulatorio svolgo l’attività di assistente alla poltrona».

Marika viene da un paese dell’est. «Era poco più che maggiorenne quando sono venuta in Italia – racconta – Ora di anni ne ha trenta e tanta voglia di ritornare alla vita e alla figlia che ha lasciato nel suo paese». Marika quando è entrata in galera non parlava l’italiano ma solo la sua lingua e l’inglese. In carcere ha imparato l’italiano e il napoletano. Ha preso la terza media e adesso traduce, quando c’è qualche utente dell’ambulatorio che non conosce l’italiano.