logo.caritasCaritas si unisce alla preghiera del Papa per la Terra Santa e rinnova la richiesta di fermare le ostilità. Nonostante l’accorato appello di papa Francesco, la speranza di una tregua a Gaza è crollata e, oltre ai morti in Siria, dove il conflitto continua tuttora, ai soprusi e alle violenze nel nord dell’Iraq, dove si arriva perfino all’obbligo della conversione per i cristiani, cresce ulteriormente la tensione in Medio Oriente dopo il rifiuto delle autorità palestinesi di cessare i lanci di razzi in Israele e la decisione di Israele di invadere Gaza. “Fino a quando durerà questa follia, senza che si riesca a fermare il fragore delle armi?” si chiede don Francesco Soddu, direttore di Caritas italiana, “Gaza era già in una situazione drammatica, costretta a vivere assediata da 12 anni, e con tre conflitti che si sono susseguiti negli ultimi otto anni, un’altra guerra non potrà che peggiorare le condizioni di vita e aumentare le sofferenze” afferma Caritas Gerusalemme nel suo ultimo comunicato stampa.

Gaza è una striscia di 360 Km2, dove si ammassano 1.700.000 persone, con una disoccupazione del 50%, un dramma che interpella l’impotenza della Comunità internazionale, oltre alle indubbie responsabilità locali di entrambi i fronti. Ma non ci sono solo la violenza delle armi e le vittime innocenti, c’è anche il “violento linguaggio della strada”, come afferma la Commissione Giustizia e Pace dei vescovi della Terra Santa . Sia in Israele che in Palestina, anche prima dei periodici scoppi di violenza, il linguaggio della strada è il terreno di cultura dell’odio, di chi vive e cresce da decenni con la convinzione di accampare diritti esclusivi sulla terra, o di chi ha perso ogni speranza di soluzione di conflitto con il negoziato.

Non bisogna dunque solo affrontare con decisione e cercare di rimuovere le cause della guerra, ma occorrerà poi un lungo lavoro di educazione alla pace, insieme ai tanti palestinesi ed israeliani che credono alla prospettiva di una convivenza pacifica.

Caritas Gerusalemme è presente a Gaza e assiste – con i mezzi che le sono rimasti a disposizione e con le limitazioni dovute al crescere delle operazioni militari – malati e feriti, gente che fugge senza una meta, bambini impauriti e rimasti orfani, mentre si soffre la setee il caldo dell’estate, con mancanza di acqua potabile e frequenti interruzioni dell’elettricità. Senza considerare che ci saranno altri profughi, oltre ai milioni di siriani e di iracheni già presenti nella regione.